Un pomeriggio a Tolmezzo, patria del Tiramisù e dell’arte del Fare

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Tutti lo conoscono, tutti lo amano, tutti lo hanno fatto e servito almeno una volta nella vita: parliamo del Tiramisù, il dolce al cucchiaio più famoso al mondo . La sua storia, piena di leggende, è in realtà piuttosto recente e negli anni i “padri” della ricetta si sono fatti numerosi. Ma da Luglio 2017,  il Ministero delle Politiche Agricole ha ufficialmente certificato la paternità friulana del tiramisù, includendolo tra i “Pat”, cioè i Prodotti Agroalimentari Tradizionali nelle due versioni:

  1. Classico con il mascarpone, nato negli anni ’50 all’Hotel Roma di Tolmezzo su ricetta della cuoca Norma Pielli (c’è la prova scritta ben leggibile su una ricevuta emessa dal locale per un cliente, datata 13 dicembre 1959!);
  2. Coppa Vetturino Tirime su”, semifreddo con panna e cioccolato, creato dal cuoco Mario Cosolo del ristorante Al Vetturino di Pieris (Gorizia) , risalente agli anni ’40, la cui ricetta è rimasta segreta per oltre 70 anni! Poi il segreto è stato svelato e non prevede né i savoiardi né il mascarpone ma il pan di spagna, il vino marsala ed il cacao!

Ho sempre adorato questo straordinario dessert che considero la sintesi perfetta della cucina italiana e della sua genialità nel creare un formidabile piatto con due o tre ingredienti: pochi elementi e nasce un monumento di gusto che il mondo ci invidia. Ebbene, l’idea che questo monumento, protagonista di ininterrotti esercizi di trasformismo, eppure ancora saldamente ancorato alla tradizione, affondi le sue radici in Friuli è bastata per organizzare un gustoso Sabato pomeriggio a Tolmezzo.

Il “Roma” di Tolmezzo, definito “mitico” dai tanti estimatori internazionali della buona cucina fu affollato, negli anni del suo massimo splendore, da enogastronomi, giornalisti e attori…Per il grande critico Luigi Veronelli i piatti del Roma erano “immensi, inarrivabili superiori”!

TOLMEZZO. UNA STORIA DI ACCOGLIENZA E BUONA CUCINA

Testa di ponte della Carnia, 10.500 abitanti, ricco mercato nel periodo patriarcale (XIII secolo) e punto di passaggio dell’importante strada di comunicazione di epoca romana tra Aquileia e la via Iulia Augusta, Tolmezzo è stata proclamata nel 2017 città alpina, una sorta di premio  assegnato da una giuria internazionale a una località dell’arco alpino che si distingue nel sensibilizzare  i politici e i cittadini per lo sviluppo sostenibile del territorio.

Degustare una fetta di Tiramisù al Roma di Tolmezzo è un po’ come rivivere un pezzo di storia.

Storie di paese, che davanti ad un bicchiere di vino o ad un caffè passavano di bocca in bocca, di avvenimenti allegri e tristi, di banchetti e feste e di personaggi famosi che raggiungevano la città attratti dall’ospitalità sincera e dalla buona cucina. L’attività dell’albergo e ristorante Roma, infatti risale al lontano 1889, e nei decenni è stato ed è rimasto uno dei luoghi di incontro nella memoria del territorio.

HOTEL RISTORANTE ROMA. LA DOLCE VITA NEGLI ANNI ’50

Si dice che la cucina sia la vera ambasciatrice di una terra nel mondo perché ne trasmette i sapori, i profumi, le tradizioni…

Che dire allora della cucina carnica che ha almeno due prodotti notissimi a livello mondiale? Il Frico e il Tiramisù? Entrambi hanno trovato nel ristorante Roma di Tolmezzo il luogo di nascita e sperimentazione!

Già negli anni ’50 il ristorante, gestito dal 1947 da Bepi del Fabbro e dalla moglie Norma Pielli, è un riferimento prestigioso di buona cucina e grande accoglienza. In quel periodo l’albergo è meta di turisti da ogni dove. Ed è proprio in quegli anni sono state trovate le prove scritte nel Menù dell’Accademia Italiana di Cucina della nascita del celebre dolce  proposto come “Di tirimi su un poc e di coce i flors” (per dolce un poco di tiramisù e i fiori di zucca (1963 e 1965): la reputazione del dolce si diffonde rapidamente tanto che durante le domeniche il ristorante diventa tappa fissa di triestini e udinesi di ritorno dall’escursione nelle località sciistiche. I più festaioli, i triestini, suggerirono di cambiare il nome da Trancia al Mascarpone  a Tirime su (dal triestino, appunto, “tirami sù”), in virtù del fatto che consideravano il dessert energizzante e rivitalizzante, soprattutto dopo le fatiche sulle piste!

Oggi come allora il famosissimo dolce viene servito con la ricetta originaria: lo gustiamo  con una curiosità ed un entusiasmo speciali, dati dall’opportunità di celebrare il dolce più famoso al mondo laddove è nato…

Chiamatele, se volete, emozioni del palato…

IL MUSEO DELLE ARTI POPOLARI “MICHELE GORTANI”: IL SENSO DI UN VIAGGIO NEL TEMPO

Visitare il museo etnografico di un luogo è sempre il modo migliore per comprendere la genesi di un popolo: entrare nel museo di Tolmezzo, raccolto in anni di paziente e meticolosa ricerca da Michele Gortani, penso sia la migliore introduzione alla storia e alla cultura del popolo carnico. Girovagare per le suggestive stanze del palazzo secentesco palazzo Campeis vale di per sé il prezzo del biglietto: stanze che profumano di una storia lontana che ha accompagnato un popolo vivo, intraprendente, forte di una tenacia innata, radici profonde e valori senza tempo.

Una nota su Michele Gortani (Lugo, Spagna, 1883-Tolmezzo, 1966)  cui è intitolato il Museo: politico, geografo e volontario della Grande Guerra è un carnico che studia e si appassiona alla composizione delle pietre, del suolo, della geografia del territorio, anche se il suo interesse principale sarà per le persone cui dedicherà la vita e lo sforzo di memoria.

Non mi stupisce venire a sapere che il museo rappresenta una delle raccolte etnografiche più grandi e meglio rappresentate in Europa

Stanze in cui sono stati meticolosamente ricostruiti interi ambienti della vita di un tempo; un’emozione vedere le antiche cucine, i focolari, gli arredi domestici, i tinelli, le camere da letto con i mobili intagliati e intarsiati. Ed ancora i locali riservati alle botteghe artigiane, alla filatura, alla pastorizia, all’alpeggio, alla lavorazione del ferro e della ceramica.

La stanza dei Ritratti: una galleria di personaggi: uomini, donne, bambini, sacerdoti che ci riportano, con sorprendente intensità espressiva e caratterizzazione realistica, agli usi e costumi dei secoli passati.

L’infanzia e il mondo dei bambini nel ‘700 in Carnia

Devozione e religiosità popolare: segni e simboli. Al centro un’arca battesimale usata per trasportare i neonati fino alla chiesa in caso di freddo e maltempo

La stanza degli strumenti musicali a testimonianza della forte diffusione della cultura musicale in Carnia, il migliore antidoto ai tempi difficili

Qui si ha conferma di come un carnico del passato sia stato soprattutto un abile commerciante capace di parlare più lingue, una persona spesso di cultura, che ama l’arte, la musica, l’amicizia, magari di santi, filosofi e artisti! Mi colpisce in particolare il grande sviluppo della tradizione tessile.

E chi l’avrebbe mai detto, ad esempio, che la Carnia del ‘700 era uno dei maggiori produttori di “fashion” in Europa?

Ben 32.000 persone lavoravano in questa autentica industria creata da Jacopo Linussio, un ragazzo di Paularo, povero ed emigrato come apprendista garzone nelle fabbriche tessili austriache. A 26 anni apre una sua fabbrica a Moggio con un’idea geniale:  ridurre a circa 1/4 i fili adoperati nel tessere le tele usando fili più grossi e ottenendo tele più grossolane, certamente, ma meno costose, a buon mercato e alla portata di tutte le tasche. Per realizzare il progetto aveva tuttavia bisogno di risorse: va quindi a Venezia ad esporre la sua visione, convince dei finanziatori, ma cosa fa? Edifica una fabbrica in Venezia per essere più vicino a un porto? No, lui non delocalizza, come si direbbe oggi, ma ritorna nella sua Carnia per più motivi: i carnici sono riconosciuti come tessitori “eccellenti e rari oltre che abili ricamatori e la manodopera è a buon mercato. Inoltre, ha a cuore la situazione di miseria della sua terra e vuole aiutarla a risollevarsi. Pertanto, importa il materiale grezzo da ogni dove, dall’Egitto alla Moscovia, ma lo fa filare qui nonostante le difficoltà di trasporto date le pessime vie di comunicazione. C’è una sua bellissima frase del 1726, che richiama questa grande attenzione per la sua gente.

Mi giubila l’animo nel sentirmi benedetto da oltre tremila famiglie per tutta la Carnia e lungo il Friuli” Jacopo Linussio

Esco dal museo con una sensazione di orgoglio mista a pacata malinconia: questo viaggio nella storia della Carnia mi ha dato nuove conferme delle straordinarie doti di intuito, intraprendenza, voglia di fare e di dare concretezza a idee e progetti delle genti di questa splendida terra. Una terra che deve la sua trasformazione anche alle esperienze vissute al di là dei suoi confini: l’emigrazione, ad esempio, è stata una necessità di ieri e purtroppo anche di oggi. La mia speranza è che in questa terra tanti un giorno facciano ritorno, come in passato, con un bagaglio di conoscenze, saperi e cultura capaci di ridare nuovo slancio e motivazione ad una terra con un passato di cui essere fieri.

Il museo etnografico è uno specchio in cui una comunità può riconoscersi, leggendo la propria origine, la propria identità, il proprio futuro, ed è lo strumento con cui essa può comprendere i problemi del suo avvenire” George Henri Riviere

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