
Oggi il mondo intero si ferma per ricordare lo sterminio degli Ebrei (“Shoah”): una ricorrenza riconosciuta dalle Nazioni Unite e celebrata anche in Italia dal 2001, dopo che il nostro parlamento ha votato la legge per istituire la Giornata della Memoria.
L’internamento di milioni di persone nei Lager è stata un’esperienza estrema, una discesa negli abissi dell’umanità, inconcepibile per chi, come me, ritiene la storia un progressivo percorso di evoluzione e di civiltà. Eppure anche allora è emerso tragicamente il lato disumano del progresso, veicolato in maniera mostruosa per l’umiliazione e l’annullamento dell’uomo.
LA RISIERA DI SAN SABBA A TRIESTE: IL LAGER ITALIANO
Qualche giorno fa decido di visitare per la prima volta la Risiera di San Sabba, a Trieste. Costruita alla periferia della città nel 1913 per la pilatura del riso, nel 1943, posta Trieste sotto il diretto controllo del III Reich, venne utilizzata dai nazisti come campo di prigionia provvisorio per militari italiani. Poco dopo divenne luogo di smistamento dei deportati (l’unico campo di deportazione dell’Europa meridionale) diretti in Germania e in Polonia, di deposito dei beni razziati alle vittime, di detenzione ed eliminazione di detenuti politici. I nazisti si servirono in un secondo momento dell’essiccatoio della risiera per mettere in funzione un forno crematorio, l’unico in Italia.

Tunnel d’ingresso alla Risiera di San Sabba
Nella notte tra il 29 ed il 30 Aprile del 1945 i nazisti in fuga, nel tentativo di eliminare le prove dei loro crimini fecero saltare il forno crematorio e la ciminiera con la dinamite. Rimasero le pareti delle celle su cui erano visibili le scritte lasciate dai prigionieri. Nel 1965 la Risiera di San Sabba fu dichiarata Monumento Nazionale con decreto del Presidente della Repubblica quale “unico esempio di lager nazista in Italia”. Nel 1975 la Risiera, ristrutturata su progetto dell’architetto romano Boico divenne Civico Museo.

La sala delle micro-celle è il luogo che ha conservato più di ogni altro la sua fisionomia così come appariva al tempo del Lager. 17 micro-celle dove venivano rinchiusi oppositori politici ed esponenti della resistenza. Per molti le celle furono l’anticamera della morte, per altri un passaggio prima della deportazione.

Sala delle Croci, così ribattezzato per l’effetto visivo ricreato dalla messa a nudo delle travature portanti della vecchia fabbrica. Nelle ampie camerate furono ebrei e prigionieri politici destinati alla deportazione. Le pareti erano ricoperte da graffiti e scritte oggi non più esistenti.

Nel cortile interno della Risiera in prossimità delle celle, sull’area oggi contrassegnata da una piastra metallica, sorgeva l’edificio destinato alle eliminazioni, la cui sagoma è ancora visibile sul fabbricato centrale. All’interno di questo edificio vi era il forno crematorio.

Taccuino compilato da Ada Jerman sopravvissuta al lager di Ravensbruck, dono Markovic Adriana 2009.
IL DOVERE DELLA MEMORIA
“Meditate che questo è stato”
Un verso di una poesia di Primo Levi che riflette l’importanza e il dovere della memoria, perché in fondo, l’esperienza del lager è stata così drammatica da essere incomunicabile. E con questo silenzio ho fatto i conti io stessa entrando nella Risiera: un silenzio che era sbigottimento, smarrimento, senso di vergogna. Non solo per l’incapacità di capire come tutto ciò “sia accaduto e possa ancora accadere”, ma anche per la mia incapacità di rassegnarmi al fatto che il mondo dei lager sia davvero esistito, che sia stato introdotto nel mondo nelle cose che esistono, e quindi sono state possibili.
“Resta solo una cosa da fare: portare testimonianza, pur non essendoci proporzione tra il privilegio della sopravvivenza e il risultato” Primo Levi.
E la Risiera di San Sabba è soprattutto luogo di memoria: spazi, luoghi, oggetti, volti, parole. Testimonianze sconvolgenti nella loro nudità di cronaca, una cronaca, tuttavia, che ho colto misurata e composta, senza retorica, dalla quale arriva un messaggio civile e morale che è ancora oggi da meditare. La realtà della vita quotidiana nei lager, di cui la Risiera dà viva testimonianza, si commenta da sola spalancando davanti agli occhi di chi guarda abissi di vuoto che non albergano neppure negli aspetti peggiori dell’umanità.
Per la prima volta non trovo parole per dire ciò che ho provato ascoltando le tante testimonianze proposte nel museo: volti di sopravvissuti, voci di chi ha visto, di chi c’era e non riesce a darsi pace. Com’è uno sguardo senza speranza? E una giornata senza destino? Entrare nella Risiera di San Sabba e cercare di uscirne un po’ più saldi non è facile, così come non è facile invocare la coscienza del fatto che la storia è un intreccio di scelte e di responsabilità, e che in mezzo a tanta miseria e tanto dolore che l’uomo ha saputo infliggere a sé stesso dobbiamo trovare gli antidoti perché la storia non faccia, mai, le rime.
A noi il dovere d ricordare e rimanere vigili, perché, in fondo, alla base di ogni politica di sterminio ci sono sempre l’assenza di democrazia e la deriva ideologica e nazionalista. Occorre ricordarlo, bisogna ricordare.
“Visitatore, osserva le vestigia di questo campo e medita: da qualunque paese tu venga, tu non sei uno straniero. Fa che il tuo viaggio non sia stato inutile, che non sia mai stata inutile la nostra morte. Per te i tuoi figli, le ceneri di OSWIECIM valgono di ammonimento: fa che il frutto orrendo dell’odio, di cui hai visto qui le tracce, non dia nuovo seme, né domani né mai.” Primo Levi