Molino Tuzzi, storia di un giovane mugnaio anarchico e di eccellenze della terra

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Chiudete gli occhi e immaginate: il Collio friulano, sinuosi vigneti, dolci pendii che si susseguono fino ad affacciarsi oltreconfine, il profumo di un buon calice di Friulano a raccontare una terra piena di carattere. Ora riaprite gli occhi e tendete le orecchie: ci troviamo a Dolegna del Collio, circondati da quelle che Lonely Planet ha ribattezzato come le “colline della meraviglia“, ma il profumo del vino per una volta è sostituito da quello della farina.

Il Molino Tuzzi si trova in quella che è la culla di alcuni dei vini più decantati del nord-est, a cui nulla ha da invidiare in termini di storia e personalità. Ad accoglierci è Enrico, quinta generazione di mugnai della famiglia Tuzzi. “Sono un mugnaio”, così si presenta.

Le porte d’ingresso al Molino Tuzzi, a Dolegna del Collio

Friuli Venezia Giulia, terra di farine e di mugnai

Se ci aspettiamo un uomo chiuso tra i confini dei suoi terreni prepariamoci a stupirci: classe 1985, Enrico è un vero mugnaio dei giorni nostri che conosce bene l’arte della coltivazione e lavorazione dei cereali (e non è l’unica “arte” che padroneggia; ma questa, dice lui, è un’altra storia), ha bene a mente il territorio in cui vive e ha cuore il prodotto che ogni giorno lavora.

“La zona del Collio coltiva viti quasi in monocoltura massiva del dopoguerra, e questo ha portato alla scomparsa di molte varietà di frumento di cui questi terreni erano ricchi: oggi i nostri grani arrivano da coltivazioni locali spostate poco più a est nei comuni attorno a Premariacco e Remanzacco” inizia a raccontarci Enrico. “I primi frumenti sono stati importati dalla Repubblica di Venezia e piantati nelle nostre terre agli inizi dell’Ottocento; di questi, oggi stiamo cercando di recuperare la variante autoctona del mais bianco.”

Non erano proprio queste le parole che ci aspettavamo al nostro arrivo arrivo, ma Enrico rincara la dose: “Oggi la catena di produzione è al collasso: i produttori non sono più in grado di produrre in maniera massiva come hanno fanno negli ultimi decenni, manca acqua, mancano le materie prime. Dobbiamo rivedere interamente il nostro approccio al fare economia in un’ottica di sostenibilità economica ed ambientale, ascoltando la voce del territorio”.

Molino Tuzzi: quando l’arte della farina è una questione di famiglia

Da dove nasce la tua vocazione? Chiedo.

” Il Molino Tuzzi nasce molto prima di me, nel 1895, dalla mia famiglia. Ci tramandiamo di generazione in generazione strumenti (e il mulino, le sue stanze, così come le pale ad acqua tutt’oggi quando possibile funzionanti, ne sono straordinari esempi), passione e competenze. Che da sole non bastano: mi stupisce ancora quando da grandi città oltre regione la gente viene ad acquistare le nostre farine pensando di incontrare un vecchio contadino per metà analfabeta, trovandosi invece davanti me, che ho studiato e conosco bene la materia che lavoro, parlo inglese, viaggio, conosco persone, faccio rete e parlo loro di sostenibilità nella filiera agroalimentare.”

“Se faccio il mugnaio è perché vengo dal mondo sociale, dove ho praticato la palestra del mettere ogni giorno in pratica una progettualità vera, che va oltre al capitalismo e alle filiere politiche locali, ma che ragiona per comitati di quartiere, per eccellenze di materie e di pensiero. Credo nel passaparola, che oggi ci ha permesso di crescere del 200%.”

Alcuni dei prodotti del Mulino, una filiera diretta “dal produttore al consumatore”

Il Patto della farina del Friuli Orientale: l’eccellenza alla portata di tutti

Seguendo questa scia di pensiero, nel 2017 è nato il “Patto della farina del Friuli Orientale: il Molino Tuzzi, assieme al Panificio Jordan, ad alcune aziende agricole e a consumatori del territorio goriziano hanno unito le forze costituendo il primo patto di filiera del Friuli Venezia Giulia per la produzione di farine di alta qualità economicamente accessibili a tutti, prodotte con metodi sostenibili e svincolati dalle leggi di mercato. Un vero percorso partecipato, nel corso del quale sono stati condivisi i costi per la produzione del grano e sono state scelte le modalità produttive attraverso la partecipazione attiva di ognuno. I cereali provengono da agricoltura biologica non certificata, perché il desiderio è quello di creare un rapporto di fiducia tra tutte le parti attive del patto, garantendo la massima qualità attraverso la totale trasparenza e lo scambio reciproco, riuscendo così anche a contenere i prezzi del prodotto finale. Una vera e propria filiera corta, dal produttore al consumatore, dove le porte del mulino sono aperte a tutti per il confronto, il dialogo e l’acquisto (non a caso il nostro sabato mattino vede un costante viavai di acquirenti).

Un progetto notevole, ambizioso, che vede come regista un ragazzo caparbio. Non si parla di proposito di cooperativa per una questione di orizzontalità, ognuno fa quello che può e come può. Oggi il patto è cresciuto e si è fatto conoscere, tanto che sta per uscire un docufilm che ne racconterà la storia e l’evoluzione di 8 anni, assieme a un sito web che raccoglierà e seguirà tutti i presenti e prossimi progetti correlati.

Chi sono i vostri più grandi sostenitori? “Perlopiù centri di ricerca e università. Abbiamo collaborato con l’Università di Glasgow, che ha riconosciuto e sostenuto il progetto della filiera “dal seme al pane”, studiando attentamente questo particolare movimento economico nato dal basso. Abbiamo anche collaborato con l’Università degli Studi di Pisa e col Politecnico di Milano, che hanno visto in noi un esempio di “mulino agroalimentare”.

“Fare rete funziona ma deve essere una rete vera”

I presupposti su cui si basa l’incessante lavoro di Enrico? Non smettere mai di studiare, di imparare, di perfezionare il proprio lavoro. Da solo e soprattutto assieme agli altri. È un instancabile lavoratore Enrico, ma, devo riconoscerglielo, anche un onesto e schietto provocatore:

“Fare rete funziona ma deve essere una rete vera. Sui social siamo tutti belli, pubblichiamo foto patinate corredate da belle parole, ma non ci lamentiamo mai. Dobbiamo invece gridare cosa non ci sta bene: io lo faccio e il risultato è una risposta gigantesca. Voglio stimolare il confronto e il dibattito. Sono un po’ un anarchico in tutto quello che faccio.”

Ad Enrico brillano gli occhi ed è magia ascoltarlo.

Passiamo dai confronti sui social al museo di casa Tuzzi, un’immensa raccolta di reperti fotografici delle 5 generazioni di mugnai Tuzzi che sono state spettatrici di guerre al confine (come dimostrano i passaporti plurilingue dei bisnonni o il fazzoletto fascista che le donne portavano al collo oggi appeso al muro), rivoluzioni industriali, incontri multiculturali (rappresentati dai sacchi di farina accuratamente ordinati, provenienti da Cuba, Stati Uniti ma anche Ungheria).

Salutiamo Enrico davanti a un bicchiere di vino e, rigorosamente con un pezzo di polenta. Ci portiamo a casa un vero e proprio esempio di etica e sostenibilità sul nostro territorio, condensato in un grande amore per la terra, per la qualità e lo studio incessante, per il voler fare davvero rete assieme a tutti i soggetti che ogni giorno richiedono e usufruiscono di un bene prezioso come quello del grano e delle farine.

Senza fronzoli, senza mezzi termini, senza mezze misure, lontano dai provincialismi e dai luoghi comuni che talvolta ingessano e soffocano, senza lasciare troppo respiro, ciò che di Bello la nostra terra ha da dare.

Come raggiungere il Molino Tuzzi

L’azienda si trova a Dolegna del Collio (località Trussio), in provincia di Gorizia: per acquistare i prodotti o prenotare una visita con Enrico, visitate il sito Molino Tuzzi.

“Credo che avere la terra e non rovinarla sia la più bella forma d’arte che si possa desiderare.”

A. Warhol

Un grazie speciale a Daniele Menotti, autore delle splendide fotografie a corredo di questo articolo, nonché fonte di spunti preziosi!

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