
Non fatevi ingannare dal nome, perché questa varietà di cavolo cresce ovunque tranne che in collina. Nel 2020 il cavolo cappuccio di Collina entra a far parte della prestigiosa arca dei Presidi Slow Food. Ed è l’inizio della sua rinascita.
IL CAVOLO DI COLLINA: UNA STORIA CHE HA ORIGINI LONTANE
Collina è una piccola ma graziosa frazione di Forni Avoltri: si colloca a 1250 metri dal mare e ad un passo dal cielo, ai piedi del Monte Coglians che con i suoi 2.780 metri di altezza è la vetta più alta del Friuli Venezia Giulia e delle Alpi Carniche.

Collina è una delle 4 frazioni del comune di Forni Avoltri, conta 103 abitanti, di cui 61 a Collina e 42 a Collinetta
Qui il cavolo cappuccio è coltivato da secoli: il cjapût, nome dialettale della varietà, ha sempre rappresentato una preziosa risorsa del territorio come testimoniano gli abitanti di questa valle.
In passato i cavoli si vendevano bene nei mercati dei paesi circostanti e gli acquirenti provenivano anche da zone lontane. Insieme a orzo e segale, era una delle poche specie coltivabili nell’area, ma con il tempo e l’inesorabile spopolamento delle aree montane è quasi scomparso dalla produzione locale. A salvarlo dall’estinzione la passione e il lavoro di salvaguardia portato avanti dalla famiglia Toch che, inizialmente attraverso Margherita e suo marito Ciro, e ora grazie a loro figlio Michele e al nipote Daniele, non hanno mai smesso di rinnovare la semente.

La signora Margherita Tamussin, custode del seme dei “cjaputs da Culino”, intenta a piantare un cavolo in un contenitore da riporre in cantina per l’inverno per fare la semenza

Il cavolo cappuccio di Collina è brachicefalo, ovvero ha una testa non sferica ma un po’ schiacciata e appiattita
Tuttavia conservare senza produrre non bastava a salvare la tradizione.
Nel 2018 un gruppo di giovani agricoltori fanno ritorno a Collina, costituiscono la cooperativa CoopMont e danno vita al progetto per la conservazione e promozione di questa tipologia di cavolo cappuccio. Andrea Colucci e Tiziano Mazzocoli sono, assieme a Michele e Daniele Toch i fautori di questa rinascita.
IL CAVOLO CAPPUCCIO: DAL RISCHIO DI ESTINZIONE A PRESIDIO SLOW FOOD
La nascita della cooperativa ha dato entusiasmo a tutta la piccola comunità: molti abitati di Collina hanno concesso gratuitamente i loro terreni ai giovani agricoltori che per scelta etica hanno intrapreso un’agricoltura assolutamente naturale e biologica, nel totale rispetto della natura.

Tiziano Mazzoccoli, Andrea Colucci e Michele Toch, i fondatori della cooperativa CoopMont
Il cavolo cappuccio è una particolare e riconoscibile varietà caratterizzata da una testa molto compatta con una forma “schiacciata” di 20-30 cm di diametro per un peso di 1,5-2 kg. La raccolta inizia a Settembre e le teste possono essere conservate per diverse settimane in ambienti freschi, mantenendo inalterate le eccellenti caratteristiche qualitative.
“La domanda non manca e la visibilità che ci è stata offerta dall’ingresso nel mondo Slow Food ha attirato una richiesta qualificata di ristoranti e clienti alla ricerca di un vera eccellenza.” mi racconta entusiasta Andrea Collucci. Entusiasmo che ha indotto la piccola ma intraprendente comunità dei “culinots” a ideare proprio in concomitanza con la stagione del raccolto, la festa dei “Cavoli Nostri” la prima domenica di Ottobre. Adesso i progetti della cooperativa non si fermano: il lancio di altre colture del passato, come il favino di montagna e la collaborazione con l’Università degli Studi di Udine per la reintroduzione della coltivazione della canapa, dimostrano che di montagna e in montagna si può vivere.

La rotazione delle colture include anche la coltivazione di fave, apprezzate per il loro gusto corposo, per la versatilità e per le loro importanti proprietà nutrizionali
I CRAUTI DI COLLINA: UNA DIETA DEL CAVOLO FA BENE ANCHE ALLA SALUTE
Nella comunità di Collina conservare gli alimenti è sempre stata una necessità, che nel tempo è diventata un’arte.
Infatti mantenere nel tempo la carne o la verdura significava garantirsi la sopravvivenza nei lunghi mesi invernali e così affumicatura e fermentazione diventano i metodi privilegiati per la conservazione rispettivamente della carne e delle verdure. E’ facile immaginare quindi come i crauti di Collina siano un’eccellenza gastronomica locale davvero imperdibile.
Vengono tagliati freschi in listarelle sottili messi in un tino con dell’acqua e sale e coperti con un coperchio di legno e dei pesi. Periodicamente vengono lavati con acqua tiepida e rimessi nel contenitore e ricoperti nuovamente.

I crauti sono fondamentalmente cavoli cappucci che hanno subito la fermentazione lattica
Un procedimento di fermentazione lattica che ho scoperto rendere i crauti una verdura estremamente salutare. E’ infatti un’ottima fonte di fibre, e di vitamine C, K, potassio, calcio e fosforo. Durante il processo di fermentazione le vitamine, i sali minerali e le fibre rimangono intatti mentre si producono preziosi fermenti lattici, in particolare i probiotici.
Questi ultimi sono fondamentali per l’equilibrio della flora batterica intestinale oltre che per combattere le infiammazioni. Un microbiota in salute significa salute per tutto l’organismo e difese immunitarie più forti: una ragione in più, per fidarsi del cavolo anche dal punto di vista nutrizionale!
IL RITORNO DELLA CANAPA IN CARNIA
Un’altro progetto che mi ha incuriosita è legato alla collaborazione della giovane cooperativa di Collina con l’università di Udine per la reintroduzione della coltivazione della canapa in montagna. Andrea ci accompagna a visitare il campo:
“La canapa in realtà si è sempre coltivata qui, fin dagli anni ’30, quando veniva utilizzata essenzialmente per produzioni tessili, grazie alla grande resistenza delle sue fibre.”
Si tratta della Cannabis Sativa, una pianta alta fino a tre metri e dalla forma piramidale, che i nostri nonni conoscevano bene, prima dell’avvento del petrolio e della plastica: l’Italia (e soprattutto le valli alpine) era il secondo produttore mondiale dopo la Russia di prodotti derivati come tessuti e cordami.
La canapa è una pianta antichissima, basti pensare che il più antico manufatto umano ritrovato è un pezzo di canapa che risale all’8000 a.c. La storia della canapa come fonte di fibre per tessuti e cordami per carta e per uso alimentare ( i semi di canapa sono particolarmente ricchi di acidi grassi e proteine nobili) si intreccia con la storia della cannabis come prodotto psicoattivo.
Il piccolo campo di Collina è una sperimentazione che vuole perseguire l’altra e non meno nota virtù della canapa, quella terapeutica e medicinale.
L’uso della cannabis per reumatismi, gotta e altre patologie è riportato fin dagli inizi del terzo millennio avanti Cristo, in Cina, spesso con più accento sulle proprietà medicinali e terapeutiche che su quelle psicotrope. Tracce dell’uso antinfiammatorio della cannabis si trovano perfino nella storia dell’antica Grecia.

Andrea Colucci nel campo di cannabis sativa a Collinetta
Una pianta quindi che è assolutamente parte della nostra storia e che è estremamente amica dell’ambiente: cresce molto in fretta, ha bisogno di pochissima acqua ed è molto ghiotta di CO2.
“E’ più resistente e sostenibile di qualsiasi altra coltura” mi spiega Andrea “Non ha bisogno di essere trattata con prodotti chimici fertilizzanti, antiparassitari e diserbanti. Per questo è una delle piante che meglio si prestano ad essere coltivate in modo biologico.”
Che sia l’inizio di una nuova storia di ripartenza dell’economia di montagna? Il nostro augurio è che l’entusiasmo e l’intraprendenza di questi bei progetti di agricoltura sostenibile in alta montagna vengano sostenuti da una politica lungimirante e vicina ai giovani e ai territori.
In bocca al lupo ragazzi!
“Abbiamo bisogno di contadini, di poeti, gente che sa fare il pane, che ama gli alberi e riconosce il vento.” F. Arminio