
Ci sono luoghi che conciliano i bei pensieri. Sono una buona medicina, di quelle che dilatano la memoria e stendono i ricordi. Il Carso è uno di questi, soprattutto adesso, vestito d’autunno: una tavolozza di caldi colori in un contesto di affascinanti silenzi, intervallati di tanto in tanto dal veloce pedalare di gruppi di ciclisti della domenica o di solitari artisti alla ricerca dello scatto da portarsi a casa.
Se quello che vi serve è una giornata fuori dal tempo benvenuti in Carso, dove le stagioni dipingono una tela di sgargianti sfumature e dove affonda le radici una storia di confine, segnando ogni insenatura di una terra aspra e rocciosa.

Veduta dal Parco Rurale “Alture del Polazzo”
Non c’è stagione migliore per una capatina nel Carso dell’autunno. Qui, con l’arrivo dei primi freddi stagionali, distese lande rocciose si infiammano degli accesissimi colori dell’oro, dell’arancione, del rosso brillante e del porpora del sommaco, attirando curiosi, escursionisti e fotografi, in estasi davanti a questo incredibile spettacolo della natura. La moda oggi lo chiama foliage, c’è chi parla di cromoterapia, chi invece di ritorno alle origini, al contatto con la natura.
Carso d’autunno: alla scoperta del sommaco, l’albero della nebbia
Queste grandi e intense macchie di colore, che raramente raggiungono i 2 metri di altezza per via della bora che in queste zone la fa da padrona, in passato venivano utilizzate per conciare pelli e tingere tessuti, grazie all’alta percentuale di tannino presente nelle foglie.
Chiamati “alberi della nebbia” per via delle piccole infruttescenze piumate, questi arbusti rappresentano poesia e tenacia allo stesso tempo, in una terra che è stata scenario di sanguinosi combattimenti durante le guerre mondiali.
Per chi volesse immergersi nella magia di queste tavolozze di colore, consigliamo una camminata tra le tante strade sterrate del Parco Rurale “Alture del Polazzo”, a pochi km da Sagrado.
Proseguendo alla scoperta dei colori e dell’Altopiano del Carso, tappa obbligatoria è quella del Lago di Doberdò, raro esempio di lago carsico in tutta Europa.
Il lago, incorniciato da meravigliose distese di accesi colori, fa parte della Riserva regionale dei laghi di Doberdò e Pietrarossa, e viene nutrito da risorgive e fiumi sotterranei. Qui confluiscono sportivi ad arrampicare lungo le rocciose pareti circostanti, e appassionati di storia, a visitare le numerose rovine di guerra.

Lago di Doberdò visto dalla strada alta
“Su questo lembo di terra pietrosa
Tutto è bello e vero
Essere, vivere, lottare,
sentirsi giovane e sano”
Canto carsico
Dai caldi e silenziosi colori di Doberdò e del carso goriziano in una manciata di chilometri si arriva nel triestino, e noi ci spingiamo a Prosecco, incuriosite dal suo nome e dalla sua storia.
Prosecco, dove il tempo si ferma e la terra profuma di “Glera”
A Prosecco il tempo sembra essersi fermato a un film in bianco e nero degli anni Cinquanta, quando le zone del carso triestino al confine con la Slovenia vennero popolate da esuli istriani, andando a creare una nutrita comunità slovena di pescatori, contadini e cavatori di pietre.
È discreta Prosecco, ci dà il benvenuto un po’ svogliata, a testa bassa, invitandoci a perdersi per i vicoli ciottolati del quartiere, appendice nell’entroterra triestina, che oggi, tra la parte vecchia e quella nuova, conta poco più di 1.300 abitanti.
Quest’ultima, San Nazario, ci accoglie pigra e luminosa: placido è il gatto appisolato accanto al muro della chiesa di San Martino, a godersi i tiepidi raggi di soli di fine ottobre; discreti sono i festeggiamenti della sua piccola comunità, sorrisi rubati dietro a muri di pietra che custodiscono storie d’altri tempi. E poi i terrazzini incastonati tra gli spazi angusti e ristretti di case segnate dal tempo; muri a secco fieri e stoici, le mani che li hanno costruiti sono state sagge e pazienti. I minuscoli giardini raccontano piccole storie di vicinato, di laboriose famiglie che a fine giornata vogliono ancora godersi il tempo dello stare insieme; alcuni civici, sbiaditi dal tempo ma non nella memoria, fanno invece da memento a un tempo che rimane ben impresso in un luogo che non ha intenzione di spegnersi.
Prosecco, giardino del Carso, rifiorisce grazie al legame delle nuove generazioni col territorio
Lo conferma l’impegno di 4 giovani viticoltori, da qualche anno rientrati a Prosecco per recuperare la tradizione dei viticoltori asburgici, loro diretti antenati. Proprio in queste terre, infatti, hanno trovato terreno fertile la “Glera”, “la bollicina dei giorni di festa”, la malvasia e la vitovska, andando a rimpolpare per secoli l’economia locale. Ed è qui che, nel 2017, è stata fondata l’associazione Prosekar; racconta Alessio Stoka, uno dei giovani imprenditori fondatori del progetto: “Mio padre è di origine dalmata: furono proprio loro nel Settecento a diventare i viticoltori degli Asburgo su questi pendii. Il vino non è solo una passione. Sogno che il Carso ritrovi la sua centralità nel turismo eno gastronomico”. E così, dopo anni di studi, tentativi e non pochi cavilli burocratici, la Doc Prosecco di Valdobbiadene ha riconosciuto ai giovani imprenditori triestini il progetto, impegnandosi a valorizzare questa eroica viticoltura d’altri tempi ancora così intimamente legata al territorio.
Riscoprire le radici spesso costa fatica, ci chiede un investimento di tempo non previsto, ci richiede di immergerci in vicoli talvolta silenziosi, dove la strada non è sempre indicata come vorremmo. Le radici chiamano senza far rumore, ci invitano a riscoprire quei colori che la frenesia di tutti i giorni talvolta non ci fa notare, a camminare lungo strade secondarie, alle volte sbucciate e provate dal tempo, imperfette come quel lago senza immissari apparenti o, ancora, come maestosi cespugli capaci di salutare gli inverni più rigidi vestiti a festa.
“Saldo e forte è solo l’albero che subisce il frequente assalto del vento; è il continuo scuotimento a dargli più robustezza, più tenaci radici.”
Seneca