
Ritrovarsi per la prima volta davanti al Vajont non è cosa da poco. Una valle messa a nudo, spogliata da un lato dove, esposte, si intravedono ancora le ginocchia sbucciate di un monte ferito. Il primo senso colpito è sicuramente quello della vista, seguito a ruota dall’udito: il sibilare del vento, in questi giorni freddo, umido, che sfreccia libero là dove si è scritto un pezzo di storia.
Il disastro del Vajont
Arriviamo sull’imponente diga del Vajont accompagnati da nuovole grigie quasi dipinte in cielo, mosse da un vento freddo che sembra quasi voglia spazzare via questo timido aprile. E ci ritroviamo davanti uno spettacolo tale e quale a quanto letto sui libri ed ascoltato alla tv. “Come un sasso che cade in un bicchiere. Dove paesi come Longarone, Erto e Casso non sono che la sua tovaglia”. Si apre così il celebre spettacolo di Marco Paolini dedicato ai 50 anni dal tragico evento ribattezzato “disastro del Vajont”.
Stiamo parlando del distacco di una porzione del monte Toc avvenuto la notte del 9 ottobre 1963: 270 millioni m3 di roccia, franati nella mastodontica diga costruita 7 anni prima, che causarono la tracimazione dell’acqua contenuta nell’invaso. Una bomba d’acqua, vento e detriti della forza pari a due bombe nucleari che, come una scheggia impazzita, si proiettò sul comune soprastante di Erto e Casso e rase al suolo quello sottostante di Longarone. Più di 2.300 le vittime.


Non è stata una vendetta arcigna della natura. Non è stato nemmeno un imprevisto non calcolabile. Perchè la tragedia era prevista e attesa.
“Chi ha vissuto il disastro del Vajont convive con quel rumore infernale vissuto quella notte”, racconta Mauro Corona, che nel 1963 aveva 13 anni. Pochi minuti di assordante dolore. “Ci si trovò tutti lungo le strade del paese. Bisogna andare in alto, ci dicevano, e così facemmo. Non c’erano più luci. Così si capì che era successo qualcosa di grave”.
“Per me il Vajont è anche il DOPO. Un paese di case di pietra ora fatte di cemento, luoghi in cui ri-assestarsi, case, cucine, punti di ritrovo nuovi.” Una memoria da preservare e ricostruire.
Cosa rimane oggi di Erto e Casso?
Oggi Erto e Casso sono un comune che conta meno di 370 anime, orgogliosamente abbarbicate in un territorio deturpato e monco che convive con la ragione della sua tragedia davanti ai suoi occhi, ma non per questo meno vivo e combattivo.

Quando arriviamo sulla diga ci fermiamo ad osservare i plastici di quello che era l’assetto del Vajont prima del disastro, e veniamo avvicinati da un signore. Sulla sessantina, con un pesante giubbotto e berretto in pile a ripararsi dal vento, inizia a raccontare come una cantilena che all’epoca aveva 10 anni, che abitava in una piccola frazione di Erto e Casso prossima al lago, che, per motivi di sicurezza, era stata fatta sgombrare due settimane prima della tragedia. “Io sono stato fortunato. Mia cugina, invece, è morta quella notte, così come tanti amici e conoscenti”. Impossibile non pensare alla paura di chi era lì, impotente davanti alla sua fine.
Eppure ertani e cassanesi non dimenticano, ricordano e vogliono parlare, cercano lo sguardo dei bambini, la comprensione dei giovani, il riscatto degli adulti.
Casso, elegante vedetta di pietra
Erto e Casso oggi sono anche un comune dichiarato “Monumento Nazionale” per l’architettura tipica delle case in pietra. Un vero gioiello Casso, roccaforte che svetta imponente sopra la diga del Vajont, dove una serie di case in pietra costruite su più piani fanno da vedetta a una valle sempre più silente.
Qui regnano un ordine e una pace quasi anacronistiche. Lungo le vie ciottolate del paese si può quasi sentire lo scorrere di un tempo che fu, quando tutti si viveva vicini e sicuri, la vita era scandita dalla quotidianità dei lavori più semplici e i piaceri erano la condivisione di un pezzo di vita in osteria.



Una seconda veste per Erto
Erto, invece, pare non volersi rassegnare ai segni del tempo. Come una fenice, è risorta dalle sue ceneri (nonostante dopo il ’63 si sia cercato di ricollocare il paese in altre frazioni) ed oggi si suddivide in due parti ben distinte: il centro storico, anima in pietra, nella parte bassa del paese, e il nuovo centro abitato, costruito post Vajont. Qui convivono nuove case in cemento, dalla chiara architettura moderna, negozi, bar e trattorie. È possibile visitare l'”EcoMuseo Vajont – Museo Voci del Bosco”, un piccolo museo di storia locale, situato davanti alla celebre bottega del grande Mauro Corona.

Per chi volesse concedersi una pausa ristoratrice, consigliamo di assaggiare i piatti della cucina locale della “Trattoria Julia”, proprio a fianco alla bottega del famoso scultore e poeta (garbo e gusto qui sono di casa).

Per i più sportivi, invece, consigliamo un’arrampicata lungo le “falesie di Erto”, consigliate a fisici allenati per via dei suoi lisci ed impegnativi strapiombi.
Come arrivare ad Erto e Casso
Se provenienti da Udine: oltrepassare Spilimbergo e Maniago. Da qui proseguire lungo la SP19 che porta verso Barcis e successivamente a Claut. Procedere lungo la SR251 attraversando le località di Cimolais e seguendo le indicazioni per Longarone / Claut / Barcis / Andreis.
Se provenienti dal Cadore: seguire la SS51 fino a Longarone, da qui continuare su SR531 in direzione Erto. “Non ci va nessuno in un posto in cui vivere è quasi impossibile.”

„Le radici non le tagli. Sono elastici con un capo legato al campanile e l’altro intorno la nostra vita.Più ti allontani più gli elastici si tirano, finché diventano fini come corde di violino.
Ma non si rompono„
M. Corona